MONTE GRONA

Monte Grona – La ferrata del Centenario

Non tutte le ferrate sono uguali. Alcune sono una successione ininterrotta di gradini e staffe, in cui non si mette mai una mano od un piede sulla roccia. Altre invece sono realizzate con uno spirito diverso, salvaguardando il gesto dell’arrampicata e proponendo il cavo metallico o la catena solo come dispositivo di sicurezza, lasciando a ciascuno la libertà di servirsene a propria discrezione, come mezzo di progressione o solo come protezione. La ferrata del Centenario sul monte Grona appartiene a questo secondo tipo. Si sviluppa su una cresta di roccia calcarea, da cui si levano quattro torri, di cui l’ultima costituisce la vetta del monte. Siamo sulle montagne tra i lago di Como e quello di Lugano, nei pressi del rifugio Menaggio. Dopo due rinvii a causa del tempo instabile, finalmente arriva una bella domenica di maggio. Dopo un avvicinamento di tre quarti d’ora siamo all’attacco della via, che, per mettere subito le cose in chiaro, parte con un tratto verticale. La relazione la classifica come “D”, difficile. La roccia però è molto appigliata, con bei maniglioni per le mani ed altrettanti appoggi per i piedi, cosicchè chi vuole arrampicare lo può fare in tutta tranquillità. Chi invece ha meno dimestichezza con la roccia sale aggrappandosi alla catena, con però un notevole dispendio di energie. Dopo il tratto iniziale, tutto il gruppo prende confidenza con la via e si procede tranquillamente. Siamo in tredici ed abbiamo circa 400 metri di dislivello da compiere in arrampicata. Il fatto di essere un gruppo numeroso si ripercuote negativamente sulla nostra velocità: siamo in fila indiana ed ogni rallentamento del singolo, per una difficoltà, per un intoppo, per fare una foto o semplicemente per tirare il fiato e guardarsi in giro, si trasmette immediatamente a chi lo segue e a chi, più avanti, lo dovrà aspettare. Per questa ragione, unitamente al fatto che è una bella giornata, che non abbiamo nessuno né davanti né dietro, impieghiamo quasi quattro ore per completare la via. Nel complesso è una ferrata divertente, con tratti semplici ed altri non banali. In particolare sulla terza torre c’è una placca verticale (non a caso chiamata “placca difficile”) che determina qualche apprensione ed anche una defezione a causa di un problema fisico; anche il successivo “spigolo affilato” dà del filo da torcere a chi vuole salire in arrampicata. Va anche considerato che, se da un lato si è sempre agganciati al cavo di sicurezza, dall’altro gli ancoraggi di questo cavo sono piuttosto distanti, per cui un’eventuale caduta significherebbe un volo anche di 5-6 metri, non piacevole su una cresta frastagliata. La via presenta anche alcune possibilità di uscita, che in un caso, come detto, si sono rese quanto mai utili. Verso l’ora di pranzo siamo tutti in cima. La vetta è molto panoramica, anche se la foschia ci toglie un po’ dello spettacolo, che comunque è notevole. Raggiunti da comitive chiassose che salgono dalla via normale, addentiamo finalmente i nostri panini. Anche la sete si fa sentire, e mi fa pensare a cosa dev’essere salire la via in una giornata di piena estate. Mi accorgo di avere le braccia rosse per il sole e di essermi seduto su delle inaspettate ortiche di vetta. Radunato il gruppo scendiamo per la ripida direttissima, cioè il sentiero che percorre il canalone che fiancheggia la nostra cresta. In venti minuti perdiamo il dislivello che abbiamo faticosamente guadagnato in una mattinata d’arrampicata, ed arriviamo all’affollato rifugio Menaggio, pieno di famiglie e fauna varia. Una birretta ci toglie l’arsura, poi con calma scendiamo alle macchine.

Alessandro

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